Alla scoperta di Tolkien: la vita, le opere, il messaggio

 Nel mese di ottobre, in occasione dell’Anno Tolkieniano, abbiamo accolto due relatori d’eccezione, Annalisa Tomei e Massimo Ciccone della Filiale di Nuova Acropoli di L’Aquila, per dare vita ad una serata su uno dei più famosi scrittori del fantasy dello scorso secolo. Gli appassionati conferenzieri hanno saputo affascinare i partecipanti, muovendosi tra curiosità e aneddoti all'interno del contesto storico in cui l'autore si è formato. In particolare hanno spiegato come in Tolkien sia nata una necessità interiore di creare un “mondo secondario”, in cui far vivere i suoi personaggi ed i valori morali, per lui fondamentali. Al termine dell'incontro abbiamo sottoposto Annalisa e Massimo ad un’imprevista e scottante serie di domande:

                                        "L’intervista sull’Orlo del Monte Fato"

Eccone riportate alcune tracce:

 1) Frodo si rivela “umano”, ma rispetto agli altri hobbit sopporta meglio gli effetti dell’anello, il fardello del male. Nella società siamo “hobbit comuni”, siamo tutti dei “Frodo” o solo alcuni di noi sono “Frodo”? 

Siamo tutti POTENZIALMENTE dei “Frodo”. Però non tutti i Frodo sono pronti ad accettare il viaggio, pronti a distruggere l’anello. Questo è il momento di Frodo. Ognuno di noi ha un momento in cui agisce, decide di cambiare se stesso; quindi potenzialmente siamo tutti Frodo, dobbiamo solo avere la capacità di decidere. C’è un momento in cui lo faremo, se saremo aperti a noi stessi. Non c’è qualcuno incapace di farlo, tutti possiamo arrivare alle pendici del monte Fato, dobbiamo solo scegliere di iniziare. Il vero coraggio non sta nell’arrivare fin lì, ma nell’uscire di casa, nell’aprire la porta e dire “ok, viaggio, ci provo”. E Frodo dimostra cosa è l’umiltà, perché per mettersi in viaggio ci vuole umiltà.

2) Niente è un caso in queste trame fantasy. Cosa anima il senso di pietà che permette a Frodo di nonuccidere Gollum? Cosa fa nascere nuove amicizie?

Nulla è a caso perché tutto quello che accade è necessario. È un insegnamento dello Stoicismo, secondo cui le cose succedono per necessità, affinché l’essere umano possa scoprire se stesso. Quindi il caso non esiste in questo senso. La natura, la creazione del mondo e dell’essere umano hanno uno scopo: non si può parlare di un’esplosione che avviene senza che ci sia dietro un’intelligenza, c’è una causa, c’è un perché. L’amicizia e l’amore, che vanno di pari passo e potremmo quasi non distinguerli, hanno un perché, una motivazione. Perciò nascono ed esistono. E così anche ne “Il Signore degli Anelli” Frodo trova il suo perché quando inizia il viaggio, scoprendolo poi meglio durante il cammino. Alla fine non avrà importanza essere arrivati a Mordor e aver gettato l’anello nel baratro, ma il percorso fatto perché è tutto quello che Frodo ha vissuto ad averlo cambiato. Allora ci dovremmo sempre chiedere il perché e poi ritrovarlo dietro tutte le cose che ci succedono. Ad esempio, quando arrivi alla laurea, cosa ti ha cambiato? Il giorno della laurea? O gli anni che hai impiegato per arrivarci? Gli anni, ovviamente, che infatti non sono stati casuali ma frutto della tua scelta. 

3) L’amicizia è fondamentale e spesso centrale: nella saga, come nelle nostre vite. Un prerequisito sembra essere, però, la forza interiore del singolo. Ma quanto bene può derivare dall’essere forti e stabili stando da soli, rispetto a tutto quello che l’amicizia ti può dare?

Il percorso si fa da soli, le prove della vita si affrontano da soli perché la vita è tua: io non posso vivere le tue prove né tu le mie. Ma io posso starti vicino e tu lo stesso. Quindi la strada è solitaria perché ognuno di noi è chiamato ad affrontare situazioni che magari sono diverse da quelle degli altri. Però è anche vero che esiste un vincolo tra le persone che, nel momento in cui si trovano ad affrontare qualcosa, le fa stare insieme, per cameratismo. È come quando si va in battaglia; si è uno contro uno, ma anche uno accanto all’altro alla maniera degli Spartani: ognuno aveva lo scudo per proteggere se stesso e il compagno che gli stava accanto. Perciò la battaglia è individuale. Tu devi combattere contro i tuoi nemici ma questo non esclude il fatto che ci sia qualcuno che ti sia accanto e che quando cadi ti dica: “Coraggio, ti puoi rialzare”. Magari qualcuno che abbia fatto la tua stessa esperienza e che, quindi, essendo già passato per quelle prove, ti consigli; quel qualcuno comunque non ti potrà sostituire; il cammino è solo tuo e spetta a te superare certe prove. Prendiamo Gandalf: egli dà dei consigli a Frodo ma poi è Frodo a scegliere cosa fare.

 

4) E cosa dire del fatto che queste storie, in diversi casi, ricorrono all'intervento di un amico in soccorso?

Questo perché nessun uomo è un’isola; da soli non arriviamo da nessuna parte. Pensiamo anche alla figura del maestro, ai maestri esterni e interni che abbiamo. Senza questi siamo molto più deboli. Si può vivere ovviamente, anche facendo bene le cose quotidiane. Scoprire se stessi da soli, invece, è molto difficile. Affrontare il viaggio da soli significa non voler ascoltare, non guardare con fiducia ai consigli, non voler apprendere dalle esperienze vissute, ed escludere l’altro, decidere che solo quello che noi pensiamo sia giusto, senza mai mettersi in discussione. Questa è la vera solitudine dell’uomo, non volere mai cambiare, credendosi sempre perfetti. Un uomo che si crede perfetto è inevitabilmente solo, quello umile accetta che ci possa essere qualcuno in grado di dargli una mano. E ancora: siamo in un cammino, qualcuno ci sta davanti, altri dietro. Seguiamo le orme lasciate da chi ci precede e lasciamo orme a coloro che ci seguono. Siamo tutti in fila, ma sei tu che metti un piede davanti all’altro per avanzare. Se vai in montagna, c’è differenza tra l’andare da soli senza conoscere la strada e l’andare con una guida: sentirai personalmente la fatica così come la sete, ma sarà l’altro a dirti “Quella è la meta!”. La dovrai conquistare tu da solo, ma intanto saresti mai arrivato tutto solo fino a quel punto? O ti saresti perso? L’avresti mai trovata la meta? Chissà…

 

5) Saruman e Gandalf. Male e Bene. Nero e bianco. Quanto può essere utile avere riferimenti nettamente positivi a cui tendere e nettamente negativi da cui allontanarsi? O sarebbe meglio prendere come esempio le persone nella loro completezza?

In realtà né Saruman né Gandalf sono totalmente bianchi o neri. Niente è assoluto. I riferimenti devono essere sempre positivi. Mai negativi, perché bisogna lavorare in positivo. Quando ci prefiggiamo di allontanare un difetto, va tenuto a mente che il difetto è una buca, per cui la si può solo riempire, non bisogna scavare di più. Quando trovi un difetto, non andare contro il difetto, perché contro di questo non vincerai; devi sviluppare la virtù contrapposta, riempiendo la buca. La filosofia lavora in positivo, ispirando l’essere umano. In negativo si va solo per scoprire i nostri lati oscuri: ma in realtà questi li conosciamo già benissimo, ci metteremmo tre secondi a trovarli in ognuno di noi. Saruman era il capo del consiglio a cui anche Gandalf partecipava. Presumibilmente aveva perciò anche una conoscenza maggiore dell’altro, essendogli capo. Ma essere arrivati più in alto non implica essere autorizzati alla condizione di poter rimanere sempre uguale, di poter fare a meno di migliorarsi, di non sbagliare mai. Questa, difatti, è stata solo una sua scelta: discostarsi dal bene per cedere al potere, a Sauron, allontanandosi dal proprio centro. E alla fine Saruman diventa “multicolore”, scegliendo coscientemente di prendere in mano l’anello, mentre Gandalf sarà “il bianco” perché, ascoltando le verità nel suo cuore, coscientemente si allontana da lui, facendo un balzo verso il bene.