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"STORIA: ERRATA CORRIGE.
Quesiti, dubbi, scoperte e pregiudizi nella ricerca storica"
presso la Sala Pietro da Cortona in Campidoglio
Con il contributo del Ministero dei Beni ed Attività Culturali, ed il patrocinio del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali
I Sessione – ore 17:30 Venerdì 24 ottobre 2008
“Enea e Romolo: il mito nella storia d’Occidente"
Moderatrice M. Sole Pomara
L’appuntamento di oggi e domani, STORIA ERRATA CORRIGE, è il risultato di un lavoro che stiamo parte, su storia e filosofia, diviso in una serie di convegni con cadenze annuali. Nei realizzando da qualche anno a questa precedenti convegni abbiamo affrontato diversi argomenti, come i giovani e il loro mondo, il volontariato, lo sport come educazione, l’infanzia e l’adolescenza, la storia primigenia di Roma col prof. Carandini…
Ma perché tante diverse materie?
Nuova Acropoli pensa che ci sia un nesso fra le stesse.
E questo legame, che è contemporaneamente il loro frutto, è nient’altro che la formazione del cittadino.
Si dice: l’archeologo scava e lo storico riscrive. Ciò significa che la ricerca, anche in quest’ambito, è continua, mai fossilizzata. E’un’indagine cui tutti dobbiamo partecipare e che naturalmente ha per oggetto ogni campo dello scibile umano. Ecco perché riteniamo essenziale che i ragazzi partecipanti ai nostri corsi frequentino anche le lezioni di filosofia della storia, che vi prendano parte attivamente impegnandosi in prima persona, ciascuno secondo le proprie possibilità e inclinazioni, là dove necessita.
E quindi non mi resta che dare il benvenuto a tutti i partecipanti: studenti, insegnanti, simpatizzanti che hanno accolto questo invito a riflettere sulla nostra Storia e sull’importanza di saper interpretare i fatti storici. Un appuntamento, questo, che non sarebbe stato possibile se il Comune non ci avesse ospitato qui in Campidoglio, presso questa magnifica sala dedicata a Pietro da Cortona, i cui quadri, stasera e domani saranno splendida cornice ai nostri temi.
E parimenti non sarebbe stato possibile questo appuntamento senza la presenza, gratuita e volontaria, dei relatori di stasera e domani, che di buon grado hanno accettato di portare il loro contributo di esperienze come storici, archeologi e docenti.
Il mito come contributo nella ricerca storica
Andrea Carandini,professore di Archeologia e Storia greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza.
Sono contento di essere qui e vorrei fare una chiacchierata con voi, un discorso spontaneo, come se fossimo ad un caffè.
Il tema che tratterò è il rapporto tra mito e storia.
Se ritorniamo, con il pensiero, ai tempi della scuola, ricordiamo che anche le nostre civiltà, quella greca e quella romana, traggono origine dal mito. Ma, poiché, in realtà, purtroppo, a scuola si insegnano poco le civiltà primitive, abbiamo dimenticato che tutte le civiltà del mondo sono immerse nel mito.
Ancora oggi a Chitawa, che è un’isola del Pacifico, vivono degli uomini che sono ancora alla civiltà della pietra; non conoscono il metallo. Giancarlo Scognitti, che è un italiano che ha passato una vita a studiare questa società, in questa isola sperduta del globo, dove nessuno mai, prima di lui, aveva messo piede, ha trovato una società che tramanda i suoi miti. Questi miti, naturalmente, sono i miti fondanti della loro società, riguardanti la famosa antenata mitica, che avrebbe organizzato quest’isola, dividendola nei vari clan, ed avrebbe quindi creato tutta la realtà istituzionale e religiosa di questo popolo, facente parte di una civiltà molto più ampia, nella quale ad esempio lo scambio di doni avviene nell’arcipelago cui l’isola appartiene.
Quindi, andando indietro nel tempo, notiamo che gli uomini hanno preso coscienza della realtà attraverso racconti mitici, i quali servivano a spiegarla e a giustificarla, a darle una solidità, in un’epoca pre-scientifica, in cui non si conoscevano le leggi naturali, non si conoscevano le ragioni delle cose e l’uomo, spesso terrorizzato dai fenomeni della natura, doveva trovare un modo per spiegarsi le cose e tranquillizzarsi; inventava quindi questi miti.
Successivamente si sono sviluppate in Grecia (a partire dal VI sec. a.C.) la filosofia e la storiografia. Non c’è dubbio che la filosofia e la storiografia nascono, all’inizio, come un forte sviluppo della ragione, che vuole liberarsi dai miti - considerati come poveri racconti fantastici, belli finché si vuole, affascinanti finché si vuole - e avvicinarsi alle testimonianze affidabili e quindi a racconti veritieri.
La storia come memoria dell'umanità: l'Io-ricordo e l'Io-coscienza
Giulia Cardinale, direttrice di Nuova Acropoli Roma.
Nuova Acropoli come Associazione di Cultura e Volontariato organizza diverse attività che realizza nell’ambito sociale, ambientale, culturale e di solidarietà, animate dalla filosofia che propone un ritorno alla Natura, nel senso di sviluppare la capacità di parlare, di dialogare, di agire in modo sano e costruttivo così come ci hanno insegnato i filosofi di ogni tempo e di ogni luogo.
La parola filosofia significa, come sappiamo, amore per la conoscenza.
E’ nella natura di ogni essere umano trovare risposte alle domande di sempre: Chi sono veramente? Da dove vengo? E verso dove vado?
Cerchiamo risposte anche quando ci chiediamo perché esistono ingiustizie sociali, economiche o politiche, o perché non ricordiamo ciò che accaduto nel passato dell’umanità, in quanto non abbiamo una memoria storica.
Queste domande esprimono la natura filosofica dell’uomo, che come filosofo, ama conoscere la sua natura, la natura dell’universo, la società, il perché dei fatti storici.
Considerando il tema del convegno poniamo la nostra attenzione sull’attitudine filosofica dell’uomo in relazione al valore della storia.
Esistono molte definizioni per spiegare che cos’è la storia. Per esempio, si definisce storia la narrazione cronologica dei fatti storici.
In occidente si dice che il padre della storia fu Erodoto, perché fu il primo che scrisse in modo cronologico la storia. Però Erodoto più che uno storico, si dice, fu una specie di giornalista, perché non si fermava ad analizzare profondamente i fatti ma li narrava, e raccontava ciò che gli veniva raccontato.
II Sessione – ore 17:30 Sabato 25 ottobre 2008
“Ebla e Cina: la riscrittura della storia d’Oriente”
Moderatrice Maria Sole Pomara
Vorrei dare il benvenuto a tutti i gentili presenti qui convenuti. Sono con noi stasera il dottor Ercole de Santis che ci parlerà della Cina e della sua millenaria civiltà nonché di svariati enigmi tecnologici ad essa pertinenti, la prof Simona Gasparetti Landolfi docente di storia e filosofia presso l’Università Roma 3, che tratterà il tema del pregiudizio e ricerca storica e, dulcis in fundo, il nostro professor Giovanni Pettinato, titolare della cattedra di Assiriologia all’Università della Sapienza che ci parlerà degli scavi di Ebla.
Sono ospiti stasera Giovanni Pettinato, prof. di Assiologia alla Sapienza, che ci racconterà delle scoperte realizzate in Ebla, Simona Gasparetti Landolfi prof.ssa di Storia e Filosofia all’Università di Roma Tre che ci parlerà di pregiudizio e ricerca storica, ed Ercole de Santis, medico agopunturista, cultore della cultura cinese, che ci racconterà di alcuni enigmi tecnologici di questa civiltà millenaria.
Anche quest’oggi tratteremo della Storia, che anche ognuno di noi può fare, quando sa far imperare la propria volontà sull’effimero, sul passeggero.
La Storia non è i grandi momenti, la Storia è tutti i giorni.
Diceva il fondatore di Nuova Acropoli, il prof. Livraga, che “Se ogni giorno riuscite a vincere dentro di voi una cattiva tendenza, se ogni anno diminuite un vizio, se ogni decennio migliorate il vostro controllo, state facendo Storia. Con la vostra azione non solo aiutate voi stessi, ma tutti gli uomini”.
E sempre lui spiegava che l’uomo può scegliere se essere un semplice pezzo di legno, abbandonato e trascinato dalla corrente del fiume o trasformare quel legno in un remo che può direzionare e accelerare il movimento della barca.
Questo è crescita di coscienza!
Per questo è necessario conoscere le cose avvenute e saperle interpretare ed essere pronti a cambiare: Errata Corrige, capacità di revisionare, questo è Filosofia!
La scoperta degli archivi reali di Ebla
Giovanni Pettinato, professore di Assirologia nell’Università di Roma La Sapienza.
Io vorrei parlare di Ebla, che non so quanti di voi conoscono. Si tratta di una città famosissima, di cui vi è traccia nei testi sia del II millennio sia del III millennio; nei testi del II millennio il re di Akkad menziona la grandezza di Ebla, dal II millennio in poi gli Ittiti menzionano ancora la sua grandezza.
E’ stato Sabatino Moscati degli studi del Medio Oriente di Roma a mandare un giovanissimo assistente in Siria, ad appena ventidue anni, affinché indagasse sui rapporti fra gli altri regni e il mondo occidentale. Paolo Matthie, giovane ventiduenne deve scegliere un sito in Siria e dopo essersi consultato, sceglie il Tell Mardik, perché c’erano stati degli studiosi che lo avevano visitato, ma questi dissero che lì non ci doveva essere nulla d’importante, e già con queste premesse incominciò proprio male. Infatti, in uno dei miei libri su Ebla scrivo nel titolo di un capitolo: gli esami non finiscono mai! dove ho narrato la nostra ricca vicenda piena di scetticismo e di dubbi da parte degli altri studiosi.
Matthie si imbatte nel secondo periodo di Tell Mardik e trova dei bassorilievi interessantissimi che testimoniano un riferimento al mondo spirituale. Nel 1965 dai ritrovamenti si avanza l’ipotesi che quel Tell fosse Ebla.
Una svolta si ha nel 1968, lo scavo va avanti quando, su una scarpata si trova il torso di una statua acefala, la statua di Ibbit-Lim. Matthie mi chiama, vado a casa sua e mi fa vedere le fotografie di questo torso acefalo, gli dico che mi sembra che abbia fatto una scoperta sensazionale, perché nel torso compare tre volte menzionata sia la città di Ebla sia l’aggettivo eblaim; la lingua in cui è redatta l’iscrizione è il semitico orientale.
Ebla è una città famosissima, il governatore di Akkad, Naramsin, in un’iscrizione disse: “Fin da che mondo esiste nessuno è riuscito a conquistare Ebla, io l’ho conquistata”, ciò ci fa capire che potenza fosse la città di Ebla.
Quando Matthie ha pubblicato l’estratto anticipato dello scavo di Ebla è stato subissato di critiche, soprattutto dalla Germania; quando hanno letto l’articolo di Ebla, Matthie aveva dato una datazione 1800 a.C. Nel 1968 noi ipotizziamo, sulla base dell’iscrizione di Ibbit-Lim, che si poteva avanzare che Tell-Mardik fosse Ebla.
Nel 1974 Matthie trova le prime tavolette cuneiformi, mi chiama per andare a vedere le tavolette. Io mi trovavo a Enna, erano le 3:00 di notte e alle 13:00 sono arrivato a Damasco, ho preso un taxi per arrivare ad Aleppo e poi a Tell-Mardikh, quando le ho viste, gli ho detto: “Io non so leggere le tavolette, non ci capisco niente”.
Inizio a guardare queste foto delle tavolette, finché una sera pensavo di avere intuito qualcosa, potevo annunziare al mondo di aver decifrato una nuova lingua affine al fenicio e all'ebraico, una lingua semitica: l'eblaita.
Un primo esame ufficiale su Ebla e quanto ad essa connesso lo sostenni nel 1975 al convegno degli assiriologi a Gottinga, quando presentai le relazioni sulla nuova lingua scoperta a Ebla, le reazioni dei colleghi non furono per me esaltanti, perché andavano dall'incredulità più netta allo scetticismo più mitigato, finché non si alzò Soden, il decano dell'orientalistica tedesca, che suggerì di essere più aperti di fronte alle novità provenienti da Ebla. Ascoltando le rivelazioni di Ebla non si poteva non restare sbalorditi o addirittura scioccati, Ebla ci ha sorpresi tutti.
Ebla, grazie ai suoi archivi epigrafici, ci ha rivelato un mondo sconosciuto, una struttura statale e sociale ben diversa dai modelli egiziani e mesopotamici.
Nel terzo millennio a.C. Assur ed Ebla condividevano persino le tasse, ed ecco che vedete Ebla come una città antichissima ma così evoluta, una città superiore alle nostre grandi crisi mondiali.
Il pregiudizio e la coscienza storica
Simona Gasparetti Landolfidell’Università di Roma Tre, professoressa di Storia della Filosofia.
Io non voglio attaccare il pregiudizio, ma anzi voglio difenderlo. Io desidero condividere con voi qualche considerazione sul modo in cui la filosofia del novecento ha affrontato questo tema, a differenza di filosofie più lontane.
Al riguardo, mi soffermo su qualche autore del novecento e parto con la retro visione.
Se andiamo a cercare il pregiudizio, nei dizionari leggiamo più o meno una definizione del genere “il pregiudizio è una anticipazione acritica del giudizio, è un giudizio affrettato che precede l’esame degli elementi necessari”, quindi questa definizione è tutta girata in negativo.
Nella filosofia moderna, quindi dal 1600 fino al ‘900, il pregiudizio è stato considerato uno degli ostacoli principali all’incontro tra le varie culture e persone ma nel ‘900 ci sono stati anche alcuni che lo hanno considerato in un altro senso, addirittura come un elemento prezioso della coscienza storica.
Allora partiamo da quelli che attaccavano il pregiudizio, tutta la filosofia dei teorismi.
Alcuni autori, sociologi e psicologi del secolo scorso l’hanno definito una semplificazione cognitiva che consente di orientarsi meglio nella diversità del mondo.
Il pregiudizio, secondo Voltaire,consente di non sottoporsi mai a una revisione del sistema dei propri valori quindi evita la trasformazione di sé, evita l’incontro.
Il pregiudizio è anche una dimensione sociale, uno stato legato all’appartenenza ad un gruppo, un atteggiamento emotivo che si traduce in una ostilità verso una persona solo perché appartiene ad un gruppo o ad una cultura diversa.
Nel nostro secolo, studi psicologici, sociologici e di scienze sociali, soprattutto in America, hanno messo in evidenza che il pregiudizio è spesso legato ad una personalità contraria, legata alle culture totalitarie, quindi dal pregiudizio è facile passare a comportamenti legati ad atteggiamenti di oppressione e di discriminazione di gruppi, di persone, di culture e di etnie.
Alcuni autori del ‘700, penso a Locke, a Spinosa, a Kant, mettono in evidenza come il pregiudizio si traduca in sottomissione all’ordine vigente, un atteggiamento cinico, non solidale, non compassionevole per esempio.
Si tratta di vedere, però, come il pregiudizio non sia soltanto un elemento negativo nella coscienza storica enell’incontro tra le culture e gli uomini.
Il compito di riabilitazione del pregiudizio lo assumono due correnti della filosofia contemporanea o meglio del ‘900, cioè quella della fenomenologia e quella dell’ermeneutica.
I due autori di cui vorrei parlarvi sono un medico che si chiama Jasper ed un filosofo che si chiama Gardner.
Il primo è un medico molto saggio che si definiva medico-filosofo. Vissuto nella prima metà del ‘900, si è interessato al pregiudizio e ne ha dato un’accezione completamente nuova; egli asseriva che il pregiudizio è una condizione ineliminabile nell’esistenza dell’uomo perché ogni essere umano vive una situazione personale particolare fin dalla nascita, in relazione al proprio mondo dal quale riceve alcuni limiti ed alcuni condizionamenti inevitabili, dettati dai genitori, dalla cultura, dallo status etc., da qui che le possibilità di evolversi sono infinite.
Jasper sostiene che ogni situazione, insieme ai condizionamenti ed ai limiti, offre anche delle possibilità; qualcuno riesce ad oltrepassare quei limiti e ad andare oltre la situazione di partenza.
Jasper, essendo anche psichiatra, fornisce notizie molto interessanti anche su chi non riesce a riconoscersi in una determinata situazione; ciò può comportare delle conseguenze molto gravi a livello di patologia psichiatrica e di esistenza mancata.
La correzione costante del pregiudizio può avvenire soltanto attraverso un’apertura ampia partecipata e sentita al mondo delle esperienze. Quindi non si tratta di eliminare il pregiudizio, in quanto il pregiudizio, secondo questo autore è ineliminabile; si tratta invece di riconoscere il pregiudizio e cercare di superare la situazione di limite che esso comporta.
L’altro autore si chiama Gardner ed è morto pochi anni fa, era un filosofo che viveva in modo filosofico. Anche di Gardner vorrei parlarvi brevemente, perché riprende un po’ il discorso di Jasper e lo porta avanti, infatti anche lui aveva un grande interesse per la medicina ed anche lui riteneva il pregiudizio una fonte importante di consapevolezza.
Parte da un autore che aveva distinto il metodo delle scienze naturali che mirano a spiegare i dati accertabili attraverso il metodo delle scienze filosofiche che non mirano a spiegare dei fatti ma a comprendere qualcosa che entra in ognuno di noi.
L’idea che le scienze abbiano un oggetto esterno è un’idea che viene rifiutata dall’ermeneutica, il soggetto e l’oggetto conosciuto si costruiscono vicendevolmente nell’atto ermeneutico e nell’atto dell’interpretazione, questo perché forse nella nostra epoca anche la storia si costruisce su cose che dipendono dalla nostra interpretazione.
Gardner diceva sostanzialmente che il comprendere è quello che distingue l’essere umano e la relazione con il suo mondo che lo porta verso nuove possibilità.
La storicità è la caratteristica dell’essere nel mondo, ciascuno di noi è nella storia in un certo momento in una certa condizione con certi valori e non può uscire ed eliminare tutti i pregiudizi legati alla sua condizione di vita.
I pregiudizi del singolo uomo sono la realtà storica del suo essere, sono la sua tradizione il suo linguaggio.
Gardner sostiene che la conoscenza è possibile solo perché ciò che è conosciuto appartiene già ad un orizzonte di possibilità; se fosse totalmente alieno non potrebbe avviarsi questo processo interpretativo, questo processo ermeneutico.
Insomma è un incontro di mondi, quello che rende possibile la conoscenza e la comprensione e anche la conoscenza e la comprensione della storia.
Gardner parla di una condizione, che è quella della precomprensione: “chi si mette ad interpretare un fatto o un evento attua sempre un progetto che è in relazione alle proprie attese sulla base del senso più immediato che il fatto”.
Questo progetto va continuamente riveduto in relazione alla comprensione della storia; l’interpretazione non finisce mai, è sempre in cammino, e questo vale nelle coscienze storiche e non solo, ma per tutti quei settori delle conoscenze che discendono un percorso un processo ermeneutico.
La tecnologia nella storia: Cina, filosofia e scienza
Ercole de Santis, dirigente area cultura diNuova Acropoli.
Oggi parleremo di enigmi storici, o meglio di enigmi tecnologici che riguardano la civiltà cinese. Di solito l’iconografia ci presenta il popolo cinese o come portatore di risciò o vestito da mandarino. In realtà questo paese ha visto nascere e svilupparsi una civiltà come poche al mondo. Il loro sviluppo tecnologico era notevole già secoli e secoli prima di Cristo.
Qualche esempio: la stampa, la carta, la polvere da sparo - non a scopi bellici -, la canalizzazione dei gas naturali, la bussola, lo studio dei terremoti… La loro produzione artistica è parimenti notevole, ma gli studiosi si domandano come e quando abbiano potuto realizzare manufatti in bronzo, perché anche in questo caso giunsero alla fusione del bronzo molto prima degli europei. La lavorazione di questo metallo è collegata a un uso che potremmo definire “sacro”, mutuato forse da popoli vicini. Possiamo affermare che in ogni fase della lavorazione arrivavano a una perfezione raramente raggiunta dai greci.
Prova ne sia il mirabile stato di conservazione di molti pezzi, che - proprio a causa della lavorazione utilizzata - non è possibile datare. L’uso sacro che di essi si faceva, la loro trasmissione di generazione in generazione, portano a pensare che documenti scritti risalenti all’VIII sec. A.C. e che si riferiscono a oggetti precisi, ci permettano di datare questi ultimi almeno all’inizio del primo millennio a.C. Chiaramente anche la medicina ha raggiunto con largo anticipo scoperte che in Europa sono arrivate in epoca assai tarda: il funzionamento della circolazione sanguigna… Ma la medicina cinese, come tutte le altre arti, è strettamente collegata alla filosofia e alla conoscenza della natura. L’astronomia non sfugge a questa regola. I cinesi studiarono i tragitti delle comete, o le macchie solari, riuscendo inoltre a trovare una maniera di non rovinarsi la retina.
Tra l’altro in Cina è stato scoperto il più antico osservatorio astronomico mai costruito. Lo studio delle correnti geomagnetiche, delle radiazioni cosmiche e del loro influsso sui modi di edificare le case, oggi di gran moda, risale anch’esso alla civiltà cinese. Confucio, a parte la sua opera speculativa, raccolse in scritti tutto lo scibile messo insieme dai cinesi prima di lui, e parla chiaramente di come i cinesi usassero costruire le loro residenze e quali regole seguissero.
Un mirabile esempio di “tecnologia” lo si può ammirare osservando gli ormai celeberrimi “guerrieri di terracotta”, posti a guardia della tomba del primo imperatore cinese. La materia - molto resistente - in cui sono fatti è stata lavorata in modo da produrre, se toccata, vibrazioni, quindi doveva produrre armonia, forse al soffiare del vento. I guerrieri hanno tutti facce diverse, altezze che vanno dal metro e 75 ai due metri e si stima che in tutto siano circa 30.000. Negli anni ‘70, per riprodurne solo uno, ci si impiegò 6 mesi. Ancora si ignora come si sia potuto produrne così tanti durante il breve regno di codesto imperatore. Le armi trovate in situ sbalordiscono: fuse in bronzo legato con altri metalli - ossido di cromo, ad esempio - hanno superato indenni i secoli. E sono tuttora utilizzabili. Lo stupefacente è che il tipo di fusione utilizzata ci è ignota. Tra parentesi si ignorano le tecniche di lavorazione, incisione e molatura della giada. La filosofia cinese ha alla sua base il TAO, ovvero la via che deve seguire l’essere umano; e lo scienziato, qualunque fosse il suo campo di indagine, era prima di tutto un filosofo. E quindi solo seguendo fedelmente il Tao egli poteva essere sicuro di raggiungere duraturi risultati nelle sue indagini. Ricerca del bene, del buono, dell’armonia. Ecco i capisaldi di tale filosofia.
A questo punto non ci resta che constatare come molte, moltissime conoscenze siano andate perse. E non solo in Cina. Il bronzo romano, ad esempio. I romani, anche trattando materiali di scarto, riuscivano sempre a raggiungere la stessa percentuale di stagno e rame; Ciò comportava una qualità altissima dei manufatti. Inutile dire che anche in questo caso la tecnica ci è del tutto ignota. Insomma il concetto che la storia sia lineare, tipica di noi occidentali, è fallace. Lo possono dimostrare i pochi esempi portati stasera.
Troppe volte invece la trasmissione del sapere fra una era e l’altra è saltata, per tanti motivi - le invasioni barbariche, ad esempio - e si è registrato un vero e proprio regresso. Cosa possiamo dire, in conclusione? Che possiamo osservare, in tante civiltà del passato, il desiderio, la volontà di costruire per il futuro, potremmo dire per l’eternità. A noi non resta che domandarci per chi, e cosa, stiamo costruendo.