Tutti gli studenti che approcciano la filosofia come materia scolastica hanno una cosa in comune: i primi nomi che incontrano sono Talete, Anassimandro e Anassimene. Ancora poco abituati ai termini e alle caratteristiche di questa nuova materia, alcuni vi si avvicinano con genuina curiosità ed altri con una consistente diffidenza. Il risultato, comunque, non cambia: dopo il primo approccio, questi filosofi rimangono un vago ricordo, una indefinita memoria di qualcosa che è stato visto una volta e poi dimenticato.
Una definizione, i “presocratici”, li relega ad una condizione di primogenitura e di anticipazione dei ben più importanti e profondi protagonisti della storia della filosofia occidentale, lasciando sottintendere una loro minore rilevanza. Eppure, nei temi di questa “filosofia delle origini”, nelle sue modalità e nei suoi personaggi, sono racchiuse tutte le domande e tutti gli ingredienti che, ancora oggi, ci rendono piccoli filosofi alla ricerca di grandi e piccole risposte. Non è ammissibile, in filosofia, venire ingannati dall’idea che tutto ciò che è venuto prima possa essere superato e che tutto quello che ci sarà domani sia migliore di ciò che c’è oggi.
Impariamo a costruire sui valori e sulla profondità di chi ci ha preceduto, applicando ciò che abbiamo appreso alla nostra realtà e alle nostre possibilità: solo così sarà possibile migliorarci e migliorare ciò che abbiamo attorno. Per questo è importante ricordare questi tre nomi, sapendo che si sta facendo riferimento ad un esempio di trasmissione da maestro a discepolo.
Non è un caso, infatti, che a parlare non sia un singolo personaggio, ma siano tre: “non vogliamo essere ricordati per qualche piccolo studio su eclissi, triangoli, fenomeni atmosferici ed altro. Noi siamo stati soprattutto educatori. Abbiamo capito quanto sia importante conoscere sé stessi, governare sé stessi prima di pretendere di governare altri, di venerare la grandezza divina che, con immenso amore, ogni istante, ci dona l’opportunità di vivere.”.