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Allora il culto a Vesta, custodire e mantenere acceso il fuoco significa:
Ø mantenere viva questa scintilla, che ha trasformato l’uomo, donandogli un elemento in più rispetto all’animale
Ø mantenere vivi i valori del vivere civile che l’uomo capta attraverso l’intelligenza
Ø mantenere presente il laccio di unione che portò popolazioni diverse ad unirsi nella fondazione di una stessa città
Ø mantenere l’unione
Tutto ciò nella pratica ha un senso: se vogliamo fondare una città, se vogliamo creare uno Stato, se vogliamo dar vita ad una civiltà, l’unione dei suoi componenti deve essere basata non soltanto dalla necessità di difesa da nemici comuni, dalla sopravvivenza e da uno scambio di beni e servizi, perché tale unione vacillerà al minimo imprevisto e lotte interne saranno all’ordine del giorno.
Si richiede che cali l’archetipo della giustizia, e questo lo spiega Platone della sua Repubblica, e che si incarni in uomini che guardino prima al bene dello Stato e che tale giustizia si concretizzi in un diritto seguito da tutti. Questo avveniva già prima in Egitto: Maat, la dea alata della Giustizia, giudicava il faraone ed il contadino egiziano.
La lex romana valeva per l’imperatore e per il semplice soldato: questo è mantenere il fuoco di Vesta acceso.
Tenere a mente le proprie origini celesti.
E questo è il senso della fondazione mitica della città. La fondazione di una città è la definizione di uno spazio sacro e con la fondazione si ripete ritualmente l’atto primordiale con cui la divinità generò il mondo manifesto, il Cosmos a partire dal Caos.
Sia l’inauguratio che l’orientatio erano fasi di discesa dell’ordine celeste.
Nell’inauguratio si traggono gli auspici, si cerca il favore degli dei, leggendo, interpretando il volo degli uccelli, ad esempio.
Nell’orientatio l’augure, con il lituus, traccia una croce immaginaria nel cielo Nord-Sud, Est-Ovest, croce che proietta in terra definendo il templum, lo spazio ordinato, lo spazio sacro.
Questo atto di fondazione è una micro-cosmogenesi: nel Caos indifferenziato si deve scegliere dove fondare la città. Il Caos, sposandosi con Theos, gli auspici della inauguratio ed orientatio, darà vita a Cosmos un mondo bello, ordinato e giusto.
Questo è il significato della limitatio, cioè del solco tracciato dal fondatore con l’aratro. All’interno del solco sarebbe stato Cosmos, all’esterno, Caos.
Il solco è un limite magico che viene tracciato da Romolo che, in quanto sovrano e sacerdote insieme, assume la responsabilità di salvaguardare la città da tutti gli attacchi, umani e sovrumani. Rompere la barriera magica significa mettere in pericolo la sopravvivenza della città, dell’opera di creazione del Cosmos.
Quando Remo oltrepassa il limite, si configura come avversario.
Romolo ora è il capo di Roma e deve mantenere il diritto aldilà degli affetti, deve trattare il fratello come avversario ed essere capo imparziale
Questo chiaramente ci appare crudele, ma applicato oggigiorno non permetterebbe di avere tanti raccomandati incompetenti.
Ed in ultimo, nel punto di intersezione tra cardo e decumanus, là dove l’augure al termine della orientatio pianta il lituus, viene scavato il mundus, una fossa dove vengono gettate offerte e frutti della terra d’origine delle tribù unite a fondare la nuova città. In questo modo i villaggi che si uniscono rinunciano alla propria identità per assumerne una nuova.
Dal caos e dalla disunione, nascono Cosmos e Unione.
Nasce un uomo nuovo, l’uomo romano. Ed il sogno di Roma unirà più genti.
Ancora durante l’Impero generali ed imperatori non saranno Romani “de Roma”, ma africani, spagnoli, tedeschi, asiatici, ma pur sempre Romani.
Per questo si parla di miti sacri, non è una questione fisica e di superstizione, è un concetto del sacro, dove per sacro non si intende di religiosità.
Sacro è tutto ciò che permette l’“elevazione della coscienza”, ciò che permette all’uomo di ricordarsi, pensarsi, vivere come essere superiore e non come animale, perché questa scintilla mentale è libero arbitrio, è il concetto di Dignità dell’Uomo di Pico della Mirandola, è assumersi la propria responsabilità e fare storia.
Quando il romano credeva all’origine divina di Romolo e sentiva il proprio stato con un diritto, con un culto al fuoco di tutti; quando sentiva le storie di Muzio Scevola, di Orazio Coclite, di Cincinnato, di Marco Curzio, questi miti lo facevano sentire parte di una storia in cui lui era protagonista anche perché figlio di Romolo e figlio di Roma e tali miti lo ispiravano a valori di eroicità e di bene comune.
Non perché i romani erano tutti santi e buoni, ma questa era la didattica in Roma, l’insegnamento della storia in Roma e la pedagogia di orientare la storia verso l’evoluzione dell’uomo, verso l’espressione di virtù, di lealtà, di coraggio, di onestà.
E questo fece di Roma una civiltà che durò fintanto che si mantenne l’unione.
Oggi che miti abbiamo che orientino la nostra storia?
Dobbiamo sperare che dalla canna il figlio non passi al buco, e che la figlia per essere bella non diventi anoressica e voglia studiare e non fare la velina.
Perché solo lo studio può riportarci alle nostre origini, ai nostri avi, ai valori fondamentali di una civiltà, per liberarci dalle trappole delle tendenze, delle mode, e delle catene in cui, come nella caverna di Platone, siamo prigionieri.
Riscopriamo il valore del mito e riscopriamo la possibilità di fare Storia come agenti coscienti e non passivi, trascinati dalle correnti.