Possiamo già fornire indicativamente alcune stime dei visitatori che ad oggi superano le 10.000 unità, che forse sembrano uno sparuto drappello rispetto alla moltitudine di visitatori che affollano i grandi avvenimenti culturali dell’urbe, ma nel nostro caso l’apertura è limitata a soli tre giorni settimanali e poi non dimentichiamoci che si tratta di un piccolo museo situato in un’area conosciuta ai più per il suo litorale e per le sue industrie che non per gli avvenimenti culturali.

Appare innanzitutto con grande evidenza che l’apertura è stata largamente gradita dalla popolazione di Pomezia, e che si trattava per molti cittadini di un avvenimento atteso da lungo tempo.

 

Dunque la Mostra è a tutti gli effetti la prima proposta scientifica offerta dal Museo di Pomezia, e vuole evidenziare, a partire dal titolo, lo stretto legame fra la città di Lavinium e il suo mitico fondatore, Enea. I reperti esposti e gli apparati illustrativi tendono a sottolineare soprattutto l’aura di religiosità che circondava l’antico centro laziale, sono, infatti, i grandi santuari di Minerva e dei XIII altari, quest’ultimo connesso all’Heroon di Enea, i principali temi sviluppati nella mostra.

 

I materiali collocati nella mostra  provengono in gran parte dagli scavi del Santuario di Minerva, ed erano precedentemente collocati nel Museo delle Navi di Nemi, mentre da Tivoli sono giunte le  sepolture di età protostorica, esposte nella mostra “Civiltà del Lazio Primitivo” trent’anni fa.

L’esposizione si articola in cinque sale la prima della quali viene denominata

·        Tritonia Virgo dalla straordinaria statua di Minerva Tritonia, posta all’ingresso della palazzina. Si è parlato di questa statua come della probabile statua di culto del Santuario di Minerva localizzato su un pianoro al limite orientale della città di Lavinio. Questo tipo di rappresentazione che ricorda la virgiliana “Tritonia Virgo” (Verg., Aen, II, 483), potrebbe essere un indizio del culto praticato a Lavinium e riferirsi ad un modello greco connesso al mito beotico della nascita di Atena, allevata presso il fiume Tritone. Altre ipotesi la mettono in relazione con l’Atena di Ilio, uno xoanon (statua ricavata dal tronco di un albero) che si sarebbe trovata a Lavinium e cui accenna Strabone (VI,I,14); quindi la statua costituirebbe il primo riferimento al mito troiano nell’ambito della mostra.

La grande Minerva (Athena) armata di spada è accompagnata dal mostruoso Tritone. E’ qui nella sua valenza di protettrice degli adolescenti, fanciulli e fanciulle che le si rivolgono nel cambiamento di status, veglia così sui riti connessi al momento in cui si esce dall’adolescenza per passare all’età adulta, per le fanciulle il momento del matrimonio.

 

Nella sala si comincia il racconto della scoperta fornendo un plastico della fossa votiva, così come apparve ai suoi scopritori. Nella zona orientale, fuori della città, già a partire dagli anni ‘60 furono individuate considerevoli tracce di un’area sacra,  ma gli scavi regolari ebbero luogo solo alla fine degli anni ’70.

 

La fossa testimonia l’accumulo di un gran numero di statue, busti e teste fittili miste a statuine bronzee, terrecotte architettoniche, monete, ceramica, materiale edilizio ed ex-voto (votivi anatomici, arule, modellini di templi e pesi da telaio). Lo scarico del materiale fu effettuato simultaneamente tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. e forse anche al I secolo a.C., considerando alcune lastre fittili di rivestimento, come dimostrano i materiali più recenti, mentre i più antichi risalgono al VII secolo a.C. Nell’ampio pianoro presso la fossa votiva non è stato ancora evidenziato un vero e proprio edificio templare ed inoltre le ultime ricerche condotte negli anni ’90 da M. Fenelli nell’area urbana, per l’esattezza nel foro lavinate, attribuiscono al tempio su podio, rintracciato sul lato breve, lo scarico della zona orientale, avvenuto forse in relazione ad un restauro del grande tempio.

 

Il tempio di Minerva secondo questa ultima scoperta sarebbe da collocare dentro la città e non all’esterno, come inizialmente si era pensato e la sua fine non più da collocare tra il III e il II secolo a.C..

 

Un restauro, cui il tempio fu sottoposto nella sua lunga vita, sembrerebbe allora il motivo della creazione della fossa ed è interessante notare che Virgilio poteva ancora vedere la costruzione e suggestivamente parlare della Tritonia Virgo: “Armipotens, praeses belli, Tritonia Virgo“, (“Vergine Tritonia, potente nelle armi e nella guerra”)

 

Nella sala sono esposte alcune delle più pregevoli tra le cento statue ricostruite dopo l’ accurato restauro. Quelle presenti nel Museo di Pomezia sono databili tra il V e il III secolo a.C., e sono in massima parte femminili; rappresentano uno dei più interessanti contesti votivi dell’antico Lazio. La serie di sculture in terracotta dimostra la progressiva ricezione dei prototipi greci secondo criteri sempre più maturi e consapevoli.  Isolata in una nicchia e contrapposta alle statue offerte dei fedeli, un’altra interpretazione di Minerva/Athena, forse come Palladio, altro indizio della saga troiana a Lavinium (il Palladio è un’immagine sacra di Pallade-Atena che secondo la leggenda Zeus avrebbe inviato dal cielo a Dardano, fondatore di Troia. Si credeva che la salvezza della città dipendesse dalla sua integrità. Ulisse e Diomede rapirono il Palladio ma secondo un’altra tradizione Enea lo avrebbe portato in salvo da Troia).

 

Questa disposizione non è casuale ma è funzionale alla tecnologia che nella sala interagisce con le statue. 

 

Infatti accanto ai tradizionali, ma non troppo, pannelli e didascalie che siamo abituati a trovare nelle consuete esposizioni, proprio nella I sala si inizia a scoprire la caratteristica peculiare della mostra. E’ infatti presente un video interattivo. Il video ci mostra le immagini di una costa che non c’è più, oggi c’è Tor Vajanica, ci mostra una selva, la famosa Selva Laurentina, e le dune che caratterizzavano anticamente questo territorio. Mentre le immagini scorrono, l’illuminazione, efficacemente, si posa ora su Minerva ora sulle statue che diventano parlanti: attraverso il video comunicano il motivo dell’offerta, cioè perché furono donate. Questo colloquio fra Minerva e gli offerenti, si chiude con il seppellimento delle statue e l’inesorabile, lento accumulo della terra sulla fossa. Si torna così al punto di partenza della sala. La religiosità, i desideri e le paure di questi giovani uomini e donne, nel momento del passaggio tra infanzia ed età adulta sono stati trasformati in parole che consentono a tutti di leggere alcuni dei messaggi impliciti, offerti da questi antichi ex voto.

Le sale successive sono definite

 

·        Mundus muliebris, al piano superiore e rappresentano l’area dei dettagli. Le acconciature delle giovani donne, novelle spose, gli abiti, i gioielli vengono esaminati sia direttamente attraverso alcuni degli esempi più interessanti dell’antica statuaria in terracotta proveniente dal santuario, sia attraverso un’intelligente operazione grafica che affida alle immagini, opportunamente trattate,  più che ai testi,  il compito di far individuare al pubblico le caratteristiche espresse dalle opere. Il corpo delle lettere che si ingrandisce ad arte aiuta a leggere i messaggi più efficaci prima degli altri.

 

Segue quindi:

 

·        Hic Domus Aeneae, la sala che dà nome alla mostra, la sala di Enea, una sala tutta blu come blu è il mare Egeo.

Il mito di Enea era noto nel Lazio almeno dal VIII sec. a.C. secondo il bronzetto rinvenuto a Decima raffigurante Afrodite con il piccolo Enea al seno e Anchise accecato da becchi di uccelli inviati da Giove.

 

La visita alla sala inizia dalla fuga da Troia che è stata suggerita al visitatore attraverso una delle scene raffigurate nella Tabula Iliaca Capitolina sulla quale per esigenze “sceniche” sono state aggiunte alte lingue di fuoco per simulare l’incendio.

 

La Tabula Iliaca fa parte diuna particolare serie di rilievi raffiguranti episodi del ciclo troiano, dell’Iliade e dell’Odissea, corredati da didascalie e iscrizioni in greco, databili ad età augustea o giulio-claudia. La serie di rilievi di cui si discute ancora circa la loro funzione originaria, avrebbe avuto il compito di illustrare come un libro le varie scene, oppure intenti votivi, ed ancora potrebbe aver avuto solo carattere decorativo abbellendo le ville dell’aristocrazia romana. La scena della Tabula che ci interessa mostra  Enea, con Anchise sulle spalle e Ascanio, seguiti da Misero che si imbarcano sulla nave. Anchise reca la cesta con i Penati troiani. Sulla nave in un centro senso entra anche il visitatore perché effettivamente il progetto ha ideato una sala a forma di nave, calata nel profondo del mare. Di questa nave c’è pure uno spaccato: si vede su un lato l’ossatura interna di una fiancata.

 

Nella sala gira il video “Il viaggio di Enea”, che parte dalla fuga da Troia e si chiude all’arrivo di Enea sulle coste laziali. Costruito su suoni, colori e immagini del mare, cui si affiancano rappresentazioni di navi riprodotte su vasi o dipinti, mescolati efficacemente a ricostruzioni moderne cinematografiche e televisive dell’antico viaggio di Enea, questo video è un suggestivo sistema per il visitatore di entrare nello spirito dell’antico navigante e di comprendere i pericoli che venivano affrontati nella navigazione. Sui suoni del mare, sullo stridio dei gabbiani, sui delfini che guidano l’imbarcazione, spiccano i versi dell’Eneide, recitati nella metrica latina e quindi tradotti.

Una ricostruzione in scala 1:20 di un’antica nave dell’età del Bronzo, l’età del viaggio di Enea, è adagiata in una nicchia tra cielo e mare e su una vela è descritta la giornata di un marinaio, mentre i nodi di una gomena, sul lato opposto, indicano alcune delle tappe del viaggio. E’ tutto sommato una piccola imbarcazione con la vela quadra con la chiglia piatta, utile per approdare in questi stagni lagunari che non sono veri e propri porti. Forse il leggendario Enea è giunto con una nave simile. In ogni caso si vanno evidenziando attraverso scavi e scoperte i complessi rapporti che legavano le coste della penisola al mondo Egeo di quel periodo dell’età del Bronzo.

 

Segue quindi l’approdo, il colore dell’allestimento cambia, c’è una diffusa luminosità che interpreta la fine del pericolo, dopo il mare.

 

Gli studi condotti dalla Scuola di Topografia al fine di ricostruire l’antica linea di costa con l’approdo lagunare che per Lavinium fu così importante per il suo sviluppo commerciale, sono stati utilizzati per raffigurare questo tratto di territorio fra Lavinium e Ardea. Gli elementi ci sono tutti e sono stati abbinati ad alcuni momenti salienti della saga troiana: l’arrivo di Enea, l’approdo, l’inseguimento della scrofa fin sul colle della futura città di Lavinium e quindi Enea che fonda la città con i suoi templi, le mura, ecc.

La grande quercia simbolo del territorio serve come contenitore per brevi notizie inerenti la storia di Lavino. In questa sala è condensata la storia urbanistica di Lavinium con i ritrovamenti che nel corso degli scavi condotti a partire dagli anni 50 dello scorso secolo ad opera dell’Università di Roma si sono susseguiti quasi senza sosta.

 

In questo spazio la città fondata da Enea, acquista una sua precisa entità, ci sono le mura, la porta sudorientale, i grandi santuari, i quartieri abitativi, le sue celebri fornaci e prima ancora i villaggi di capanne. Si segue lo sviluppo sia pure con la limitazione dovuta a scavi non estensivi di un centro, la cui occupazione è documentata fin dall’età del Bronzo e che dopo la caduta di Alba, divenne la metropoli dei Latini. Il che spiega anche il motivo della nascita qui della saga troiana.

La città religiosa, famosa per i suoi culti, non smette di vivere, ma forse si contrae nel III secolo a.C., e che prosegue la sua esistenza fino al tardo Impero con i grandi interventi di Settimio Severo e poi di Costantino, ancora con questa sua denominazione di civitas religiosa, come la definì Simmaco nel IV secolo. In un video passano immagini rapide di questa ricerca.

 

·        Infine nella Civitas Religiosa, si chiude questo cammino. Ancora un rito di passaggio espresso dalle sepolture della necropoli di età protostorica, si passa dal mondo dei vivi a quello dei morti, si forniscono i defunti di un corredo.

Uno di questi è quello della famosa tomba a cremazione n. 21 scavata nel 1973. La tomba concordemente attribuita alla prima fase della cultura laziale, e quindi datata al X secolo a.C. accoglieva secondo un rituale ben attestato un ricco corredo di bronzi miniaturistici; oltre ad un coltello e ad un rasoio era presente un’intera panoplia, composta da una lancia, una spada con fodero, una coppia di schinieri e quattro dischi. Questi ultimi decorati a sbalzo con un circolo di punti lungo il margine e un altro più irregolare verso l’interno. Una linguetta decorata con tre file di puntini, univa i dischi a due a due. Si tratta di due scudi bilobati, composti da una coppia di dischi e da un elemento di raccordo. Si può calcolare una lunghezza dell’originale intorno ai 55 cm. In tale tipo di scudo è possibile riconoscere l’ancile, cioè lo scutum breve, precedente al clipeo. Lo scudo bilobato centro-italico era, tra la fine dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro, un’arma riservata a personaggi gerarchicamente e socialmente eminenti, gli antichi Salii, sacerdoti di Marte.

            Sul lato opposto a rappresentare il santuario dei XIII altari, il cui culto è databile almeno a partire dal VI secolo a.C., è stato predisposto il teatro ottico: un sistema di realtà virtuale che consente di udire direttamente attraverso le parole di un antico uomo la descrizione del celebre santuario federale e di comprendere il senso più recondito di questo luogo, ponte fra l’uomo e la divinità. Al sacerdote virtuale, che ci parla presso il XIII altare, sono abbinate immagini che l’officina Rambaldi, realizzatrice per il museo di Pomezia del teatro ottico,  ha girato sull’area archeologica.

Scorrono le immagini delle Are e dell’Heroon di Enea. Questa tomba a tumulo, probabilmente di un aristocratico, primo re fondatore di Lavinio, sepolto agli inizi del VII secolo e identificato con il dio locale Pater Indiges Numicus, venne ispezionata un secolo dopo la sua deposizione, agli inizi del VI secolo, come suggeriscono i vasi sacrificali inseriti nella tomba in quel momento, probabilmente per acquisire le reliquie troiane di Enea. In questo momento Enea viene assimilato al dio Pater Indigetis, divinità che significa il Capostipite, diventa l’eroe fondatore di Lavinio, metropoli dei Latini e avo di Romolo. Secondo la tradizione dopo la battaglia tra Rutuli e Latini, avvenuta non lontano dal Numico, Enea scomparve.

 

Lo storico Dionigi di Alicarnasso ci riporta:

Non essendo visibile in alcun luogo il corpo di Enea, alcuni ne dedussero che fosse stato trasportato tra gli dei, altri che fosse perito nel fiume, presso il quale avvenne la battaglia. E i Latini gli costruiscono un heroon fregiato di questa iscrizione: al dio padre indigete che guida la corrente del fiume Numico… c’è un tumulo non grande, ed intorno ad esso alberi degni di vista”.

 

Tornando alla mostra, la funzione delle immagini in questo caso è quella di guidare il visitatore alla lettura dell’area archeologica per il momento chiusa al pubblico; nasce quindi in stretta relazione con l’area di scavo di cui costituirà in futuro un centro di servizi a questa correlati, centro visitatori, organizzazione di percorsi di visita, etc.

 

Concepito come soluzione innovativa di comunicazione, il progetto di allestimento rappresenta uno strumento di divulgazione destinato a “spettatori non particolarmente provveduti”, ma al contempo fornisce informazioni “stratificate” che possono essere lette a diversi livelli. Sviluppando una collaborazione tra informazione archeologica e tecnologia, tra cultura e innovazione si è cercato attraverso questo modello di comunicazione di enfatizzare le potenzialità terminali del visitatore. Si tratta certamente di una struttura altamente integrata, con il compito di esporre per comunicare e dove persino l’organizzazione degli spazi contribuisce all’idea di fondo del museo: si pensi alla suggestiva sala di Enea.